Vedova Tintoretto. In dialogo — L’incontro tra luce e gesto a Palazzo Madama di Torino
- Redazione
- 3 nov
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di Desirèe Filippone
A Torino, nelle sale di Palazzo Madama, due pittori veneziani distanti quattro secoli si incontrano attraverso la pittura. Jacopo Robusti, detto Tintoretto, ed Emilio Vedova dialogano tra Rinascimento e Informale, tra luce e gesto, in una mostra che racconta come l’antico possa ancora generare il contemporaneo.

A Torino, fino al 12 gennaio 2026, le sale di Palazzo Madama ospitano un incontro che attraversa quattro secoli di arte veneziana. Da un lato Jacopo Robusti, detto Tintoretto (1518–1594), maestro della luce e dello spazio nel Rinascimento. Dall’altro Emilio Vedova (1919–2006), protagonista dell’Informale europeo, pittore di gesto e materia. Due artisti distanti nel tempo ma vicini nella visione: entrambi ossessionati dal movimento, dalla tensione drammatica, dalla necessità di trasformare la pittura in esperienza fisica.
Curata da Gabriella Belli e Giovanni Carlo Federico Villa, la mostra Vedova Tintoretto. In dialogo raccoglie circa cinquanta opere in un allestimento monumentale che si sviluppa nell’Aula del Senato del Regno d’Italia, cuore del Museo Civico d’Arte Antica. Un allestimento che non si limita a mettere a confronto, ma costruisce un vero dialogo tra linguaggi, luci e tempi. Il percorso si apre con un prestito d’eccezione: l’Autoritratto di Tintoretto del 1588, proveniente dal Louvre. Da qui prende forma una narrazione visiva che alterna i grandi teleri veneziani del Cinquecento — le ancone dei Camerlenghi, il ciclo delle Metamorfosi — alle tele di Vedova, dense, materiche, animate da un’urgenza quasi fisica. Il gesto di Tintoretto, rapido e teatrale, trova eco nella pennellata furiosa di Vedova. La luce che modella i corpi nella Venezia del Rinascimento si trasforma in bagliore, in esplosione di bianco e nero, nel Novecento di Vedova. Tra i due, un filo sottilissimo: la volontà di rompere il confine tra pittura e spazio, di rendere la tela viva, dinamica, in movimento.
Nel cuore del percorso spiccano le opere che rivelano il legame diretto tra i due maestri: la Moltiplicazione dei pani e dei pesci (da Tintoretto) e La Crocefissione (da Tintoretto), realizzate da Vedova negli anni Quaranta, sono dichiarazioni d’amore e di appartenenza. Non copie, ma interpretazioni: traduzioni interiori di un linguaggio antico in un lessico nuovo. Il gran finale è l’installazione in continuum, compenetrazione/traslati ’87/’88, oltre cento tele che occupano l’intera altezza della sala. Un altare laico, vibrante di luce e materia. Un luogo in cui il gesto diventa architettura e il colore si fa suono. «Una tela che è stata più di un modello iconografico — scrivono i curatori — una sorta di identificazione poetica e concettuale per molti artisti».Per Gabriella Belli, l’esposizione «delinea con precisione i processi della formazione del pensiero del giovane Vedova sui testi pittorici di Tintoretto». Per Villa, invece, «i Musei Civici di Torino riaffermano il proprio ruolo come luogo di riflessione sull’antico capace di generare il contemporaneo». In fondo, è proprio questo il senso della mostra: restituire continuità dove sembra esserci distanza. Ritrovare, nella tensione del Rinascimento e nella materia dell’Informale, la stessa urgenza di dare forma al pensiero. Un dialogo che non si chiude, ma continua.




















