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Revzora, la focaccia di Campo Ligure che nasce dalla fatica

di Alessandra Penco


In Liguria c’è un pane che non si trova ovunque. Ha il colore del mais, la consistenza di una focaccia rustica e un nome che suona come una parola dimenticata. Si chiama Revzora, e nasce a Campo Ligure, piccolo borgo dell’entroterra, dove la cucina sa ancora parlare il linguaggio della terra. A differenza delle focacce liguri più conosciute – sottili, unte, da panetteria urbana – la Revzora ha un carattere diverso. Più contadino, più duro, più autentico. È la focaccia dei giorni di lavoro, quella che si preparava con ingredienti poveri, ma mai scelti a caso.



Revzora Campo Ligure

La parola “Revzora” affonda le sue radici nel dialetto locale: deriva da revzâ, un verbo che significa “raschiare, grattare via, spezzare”. Un suono ruvido, come la crosta che si forma in cottura. Ma anche un riferimento alla pratica di recuperare tutto ciò che restava: fondi di farina, avanzi di lievito madre, granella di mais. Era una cucina di necessità, fatta di gesti ripetuti, tramandati, misurati a occhio. Niente andava buttato. E dalla fatica nasceva un sapore che oggi chiamiamo tradizione.


La particolarità della Revzora è tutta negli ingredienti: farina di frumento e farina di mais. La prima conferisce elasticità, la seconda dona friabilità e quel colore dorato che la rende riconoscibile a colpo d’occhio. A completare l’impasto, olio extravergine d’oliva, lievito, acqua e sale. Nulla di più.

Dopo una lievitazione lunga e naturale, l’impasto veniva steso a mano e cotto nei forni di casa, spesso a legna. Il risultato? Una focaccia croccante fuori e compatta dentro, con quella tipica superficie crepata che sembra raccontare la sua storia al primo sguardo.


Campo Ligure

La Revzora non era un cibo da festa, ma da tavola quotidiana. Si mangiava a colazione con un filo di marmellata, oppure con formaggi e salumi durante la giornata. Era il companatico di chi lavorava nei campi o al tornio, il pane di chi non poteva permettersi altro.

Eppure oggi, proprio in quella semplicità, ritroviamo il valore di un sapere antico. Perché ogni morso porta con sé la memoria del gesto, del tempo e della cura.


Oggi la Revzora si trova ancora in alcuni forni di Campo Ligure, specialmente in occasione di sagre o eventi legati alla riscoperta delle tradizioni gastronomiche locali. Non ha marchi o certificazioni, ma è uno di quei prodotti che parlano silenziosamente del territorio, senza bisogno di slogan.

Per chi visita Campo Ligure, assaggiarla è un gesto semplice ma importante. Significa portarsi a casa un pezzo vero di Liguria, lontano dalle cartoline, vicino alla sua anima più profonda.


In un mondo che corre verso l’omologazione del gusto, la Revzora è un promemoria. Ci ricorda che anche una focaccia può avere qualcosa da dire, se fatta con rispetto, con mani sapienti e con la consapevolezza di chi sa da dove viene.

Raccontare la Revzora è raccontare una Liguria interna, silenziosa, autentica. Una Liguria che non vive solo sul mare, ma anche tra i forni accesi, le farine grezze e le voci di chi non ha mai smesso di impastare la propria storia.



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