Mastazzola: ad Agrigento i biscotti dei morti sono dolci e speziati
- Redazione
- 26 nov
- Tempo di lettura: 2 min
di Maria Antonietta Calabrese
Novembre, mese autunnale introdotto dalla festa di Ognissanti, porta dietro al bancone dei panifici agrigentini questi biscotti bruni, profumati dal vino cotto e speziati con il pepe nero. Qui i mastazzola fanno la loro comparsa per tutta la stagione e poco oltre.

I mastazzola sono siciliani?
Se di ritorno da un viaggio in Sicilia siete in cerca della ricetta dei mastazzola — perché vi sono sembrati così buoni, ma ora così lontani — scoprirete che il termine è una variante dialettale che indica i mastazzoli nei panifici dell’Isola e in Calabria, dove sono altresì noti come “nzuddi”. In altre regioni del sud Italia, invece, si dovranno chiedere dei “mustazzoli” o, ancora, “mostaccioli”. Sono tutti biscotti più o meno diversi tra loro, il cui nome però vuole svelare la caratteristica che li accomuna: l’assenza di agenti lievitanti, quindi la morbidezza e la collosità date dall’edulcorante utilizzato. Dal mosto d’uva al miele, dallo sciroppo di carrube alla melassa, qualsiasi scelta va ad impreziosire questo dolce lavorato a mano. Tale metodo di lavorazione, infatti, fa rientrare i biscotti di Agrigento nella lista dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) siciliani.
Mastazzola: non solo bontà, anche eleganza

La pasticceria secca di Girgenti — nome arabo che la città dei templi ha abbandonato dal regime fascista in poi — ha conservato tanto delle consuetudini culinarie appartenute alle dominazioni storiche. Una di queste ha a che fare con la forma e con il colore di biscotti e paste. I mastazzola, per esempio, oltre ad avere il colore del vino, si riconoscono per la forma romboidale e per gli altri piccoli rombi che ne decorano la superficie. E in effetti, anticamente, “mostacciolo” era anche sinonimo di losanga.
Non tutto ciò che scuro è cacao

Altra componente ereditata dalla cucina araba è l’onnipresenza della cannella, insieme alla capacità dei pasticceri di fare un uso sapiente e misurato di frutta secca e zucchero. Entrando in un panificio di Agrigento, insomma, sarà piuttosto difficile per il vostro naso rintracciare delle note di burro e latte. E anche se i mastazzola possono ricordarvi il ripieno del presnitz triestino (con frutta secca, spezie, rum e cioccolato), da queste parti occorre sapere che non tutto ciò che tende al bruno è fatto con il cacao. Spesso può trattarsi della cannella stessa, della carruba, dei fichi o del miele. Annusando e gustando i mastazzola agrigentini si distinguono nell’ordine: l’aroma di cannella e vino cotto, la dolcezza del miele, la piccantezza del pepe, l’incontro gradito di uva passa e scorze d’arancia candita, il croccante della mandorla e del pistacchio sparso in piccoli pezzi smeraldini che chiudono in bellezza e in ricchezza questa esperienza di gusto.
Assaggiando per la prima volta questo concentrato di cultura e sapori vari, va ad orchestrarsi un crescendo di piaceri e curiosità. Ogni morso cerca di capire, di misurare la distanza tra noi e qualcosa che ha impiegato troppo tempo a raggiungerci. Perciò, alla fine, la ricetta di questi biscotti è più simile a una cartolina, a uno scatto che riassume due viaggi: il primo segue la scia profumata degli ingredienti, il secondo vuole risalire agli ingredienti stessi.














