Formati di pasta rari (o quasi dimenticati) della Liguria
- Redazione
- 2 giorni fa
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di Alessandra Penco
Dalle trofie bastarde ai corzetti incisi: una guida tra antiche trafile, territori verticali e gesti da riscoprirli. In Liguria, terra stretta tra il mare e la montagna, la pasta è una questione di ingegno e sobrietà. Qui la tradizione non ha bisogno di uova: bastano farina, acqua e mani esperte per creare formati unici, spesso modellati a mano, spesso dimenticati. Alcuni resistono nei laboratori artigianali o nelle case dei borghi, altri riemergono grazie a nuove trattorie che valorizzano il passato. Tra ravioli ripieni di erbe selvatiche, dischetti incisi con stemmi familiari e piccole paste da zuppa, ecco un viaggio nei formati liguri che forse non conoscevi — o che vale la pena riscoprire

Trofie bastarde e avvantaggiate
Sono una variante delle trofie classiche, ma impastate con farina integrale o farina di castagne. Nascono come pasta di recupero, da farine più economiche e abbondanti nell’entroterra, soprattutto nei mesi invernali. La forma rimane allungata e arricciata, ottenuta manualmente sfregando piccoli pezzetti di pasta. La farina di castagne conferisce un colore brunastro e un gusto più deciso, che si accompagna bene a condimenti forti.
Corzetti valpolceveraschi
I corzetti della Val Polcevera non sono decorati: si presentano come losanghe schiacciate a forma di 8, tagliate a mano da impasti poveri, senza uova. Hanno una lunga storia popolare: erano la “pasta di casa” per eccellenza nelle zone dell’entroterra genovese. La forma particolare serviva a migliorare la tenuta in cottura e ad accogliere bene il condimento.
Croxetti del Levante (anche detti corzetti stampati)
A differenza dei corzetti rustici, i croxetti sono dischi di pasta incisi a mano con uno stampo di legno: da un lato sono lisci, dall’altro decorati con simboli floreali o stemmi familiari. Si tratta di un formato nobiliare, usato soprattutto dalle famiglie aristocratiche per occasioni importanti. La decorazione non è solo estetica: serve anche a trattenere meglio il sugo.
Piccagge (anche bastarde)
Le piccagge sono una versione ligure delle tagliatelle: più larghe, spesso fatte senza uova. In passato si preparavano anche con farina di castagne, da cui il nome piccagge bastarde. È una pasta corposa, usata per raccogliere sughi importanti o da accompagnare con verdure invernali. Rara nei menu, era un piatto quotidiano nelle case dell'entroterra levantino.
Bricchetti
Pasta da minestrone per eccellenza, i bricchetti sono bastoncini corti di pasta fresca, simili a fiammiferi spezzati. Nati per accompagnare il minestrone alla genovese, sono spesso autoprodotti nelle case o nei piccoli pastifici. La loro forma minuta garantisce cottura uniforme senza disfarsi nelle lunghe preparazioni.
Gasse
Le gasse sono un formato di pasta ad anello, simile a paccheri in miniatura. Erano preparate a mano e venivano cotte con sughi di carne. Il nome deriva forse dalla parola “gassa” usata in marina per indicare un nodo ad anello, e richiama la forma chiusa e circolare. È uno dei formati oggi più difficili da trovare.
Pansoti
I pansoti sono ravioli triangolari ripieni di prebuggiun (misto di erbe selvatiche) e prescinsêua. Si distinguono dai ravioli comuni per l’assenza di carne nel ripieno e per la tipica forma triangolare. Piatto legato alla tradizione quaresimale, oggi è tra i pochi formati "dimenticati" che ancora sopravvive nei ristoranti liguri.
Testaroli
I testaroli sono un formato ibrido, a metà tra pane e pasta. La pastella (acqua, farina, sale) viene cotta su una piastra rovente (testo) e poi tagliata a losanghe. Dopo una breve bollitura, si condisce con sughi semplici. Sono considerati uno dei formati più antichi della penisola.
Stracci
Gli stracci sono ritagli irregolari di pasta secca o fresca, spezzati a mano. Nati come recupero degli scarti di sfoglia, erano usati nelle minestre o in brodo. Formato completamente informale, ma molto radicato in contesti rurali.
Scucuzzun (o scrucuzun)
Formato simile al cous cous, ma prodotto sfregando a mano farina e acqua fino a ottenere minuscoli grani irregolari. Non è cotto a vapore, ma bollito. Usato nelle zuppe, era diffuso soprattutto nel Ponente ligure. È un esempio di contaminazione culturale (nordafricana o marinara).
Perché riscoprirli
Questi formati sono mappe del territorio: raccontano di colline isolate, farine antiche, economie di sopravvivenza. Recuperarli non è solo un gesto nostalgico, ma una scelta consapevole: cucinare in modo più locale, più stagionale, più umano.