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Come la ceramica può insegnarci l’arte della mindfulness, con Carolina di Spontanea Ceramic

Aggiornamento: 2 giorni fa

Di Beatrice Po - In un mondo che corre veloce, Carolina ha deciso di creare un’oasi di lentezza e silenzio nel suo laboratorio di ceramica. Scopriamo insieme la sua storia e la sua filosofia, in un viaggio che dalla Danimarca passa per l’Inghilterra e poi la riporta a casa: a Modena. 


Un giardino che va oltre i confini
Un giardino che va oltre i confini

La me bambina avrebbe guardato Carolina con le stelline negli occhi. Io, che ho creato un solco in una delle cinque sedie del salotto a furia di stare per ore seduta a colorare, disegnare, ritagliare e incollare, sarei letteralmente impazzita per una persona che fa dello sporcarsi le mani un’arte e dell’arte un mestiere.


Credo ancora che la creatività debba stare al centro, ma non è sempre facile metterlo in atto. C’è il lavoro, che richiede costante serietà e lucidità, le persone da vedere, le commissioni da sbrigare e sono poche le occasioni dove si può restare da soli con la propria fantasia, senza limiti sul come usarla. È proprio il desiderio di tornare verso la me piccola irrefrenabile artista che mi ha spinto a partecipare a una lezione di ceramica con Carolina. Quella serata mi ha riportato indietro. Mi ha ricordato perché amavo così tanto creare e perdermi nel lavoro manuale. Mentre la mia tazza prendeva forma, mi sentivo ancora su quella sedia, nel mio salotto, concentratissima ma allo stesso tempo lontana dalla smania di perfezione che conosco fin troppo bene. Cos’è questa magia? La mia una chiacchierata con Carolina è la risposta a questa domanda.  


Carolina
Carolina

Beatrice: L’ultima volta che ci siamo viste stavo sudando sette camicie per non rischiare di rovinare la tazza appena fatta. Vicino a me, un mare di fronti corrucciate e sguardi preoccupati. Hai mai contato quante persone arrivano ai tuoi corsi pensando di rilassarsi e poi tremano davanti a una pallina di argilla? Succede anche ai migliori?


Carolina: L’ansia da prestazione ha radici profonde, e credo che ogni volta che ci troviamo davanti a qualcosa di nuovo tenda a riemergere. Nei corsi di ceramica questa dinamica si vede chiaramente: non c’è solo la novità, ci sono anche componenti tecniche e creative da far convivere. Bisogna trovare un equilibrio tra la padronanza del gesto e la propria espressione personale, che spesso è un po’ sopita. La verità è che non siamo più abituati a lasciarci andare alla creatività; a scuola ci insegnano presto a seguire schemi, non a inventare. Così, quando ci troviamo davanti a un pezzo d’argilla, che è come una tela bianca, è normale andare in tilt.


Ho notato che l’approccio alla materia rivela moltissimo della persona: sensibilità, blocchi, fiducia in sé. È un’esperienza sorprendentemente profonda. E non parlo solo degli altri. A volte mi lancio in progetti complicati, commissioni che mi spaventano e sì, anch’io sudo freddo, ma ho imparato che con pazienza e lo spirito giusto si supera tutto. Per questo consiglio sempre a chi è all’inizio di partire da qualcosa di semplice, per rilassarsi davvero, stare nel presente e godersi il piacere del creare con le mani. È da lì che nasce tutto.


Beatrice: Il tuo percorso per rendere l’arte della ceramica il tuo lavoro sembra essere stato un po’ tortuoso e fatto di tante tappe. Sono le storie che preferisco. Ci racconti com’è andata?


Carolina: Non definirei il mio percorso tortuoso, quanto piuttosto sorprendentemente semplice. È stata, credo, la decisione meno ponderata della mia vita e forse proprio per questo la più autentica. Anche per questo ho deciso di chiamarmi “Spontanea”. Mi spiego meglio: ho sempre avuto tanti interessi, e fin dalla prima scelta importante, le scuole superiori, mi sono sentita in difficoltà. Alla fine ho scelto il liceo scientifico per lasciarmi più porte aperte. Con quella scelta è arrivata però anche la pressione di dover decidere velocemente chi volevo essere “da grande” e restare fedele a quella scelta fino alla pensione. Ecco, io non credo proprio di essere tagliata per questo.


Dopo il liceo mi sono laureata in lingue, ho lavorato come insegnante d’inglese in scuole montessoriane e libertarie, poi nelle traduzioni e nel marketing per una multinazionale. Nel frattempo, da appassionata di alimentazione, ho studiato per diventare pasticciera e ho lavorato in quel campo per sei anni. Gli ultimi due li ho trascorsi a Copenaghen e mi sono concentrata sulla gastronomia vegetale, finché proprio lì ho capito che non avrei potuto fare la pasticciera per sempre. Così ho deciso di approfondire un’altra passione che covavo da tempo: la ceramica. Ho iniziato da autodidatta imparando il tornio, poi sono entrata in uno studio a Copenaghen, dove ho imparato a gestire un laboratorio creativo a 360 gradi.


Tornata in Italia, ho aperto il mio studio spinta più dall’istinto che da un piano preciso. Oggi la ceramica mi permette di unire tutte le mie passioni: l’insegnamento, la manualità, la sostenibilità, che cerco di portare in ogni fase del mio processo produttivo, e le lingue, che sfrutto per tenere corsi in inglese e per confrontarmi con artigiani di tutto il mondo durante i miei viaggi. È un lavoro vivo, che cambia con me e che mi rappresenta molto più di qualunque ruolo prestabilito.


Beatrice: Parlando della tua esperienza in pasticceria, sembra che la costante per te sia il lavoro manuale. Letteralmente lo sporcarsi le mani. Cosa ti ha spinto a cambiare “materia”?

Carolina: Sono passata dal contenuto al contenitore! Dopo anni in pasticceria, ho sentito il bisogno di rallentare e dedicarmi a qualcosa che fosse più sostenibile nei ritmi e nei valori. Il mondo vegetale, che già era centrale nella mia cucina, ha iniziato a diventare il mio punto di riferimento anche oltre il piatto: nei materiali, nei colori, nei tempi. In quel momento, la ceramica è arrivata in modo naturale, quasi inevitabile. C’è una forte somiglianza con la pasticceria, nei gesti, la precisione e la cura. Con la ceramica ho trovato più spazio per respirare, per creare in armonia con i miei tempi e la mia visione. Aprire un laboratorio non è stato un piano a lungo termine: è successo perché ne sentivo la necessità. E oggi mi rendo conto che tutto ciò che ho fatto prima ha trovato nuova espressione dentro questo mestiere.


Beatrice: Io per esprimermi scrivo, sperando di svelare un pezzetto di me tra una parola e l’altra. Calvino diceva: “Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto”. Pensi si possa applicare nel tuo caso anche ai manufatti che crei? Nascondi qualcosa di te in loro?


Carolina: Non ci crederai ma nel mio laboratorio tengo una copia de “Il Barone Rampante” di Calvino”, è stato uno dei primi libri che mi ha fatto amare la lettura. C’è qualcosa in quella storia, nella scelta del protagonista di vedere il mondo da un’altra prospettiva, che mi parla ancora oggi. Mi rivedo molto in quella citazione di Calvino. Penso che ogni oggetto fatto a mano contenga qualcosa d’invisibile: una parte di noi che non riveliamo apertamente, ma che in qualche modo s’intuisce. Nei miei manufatti c’è spesso qualcosa che non ho detto a parole, quella ricerca di perfezione mischiata con l’imperfezione è il mio tratto distintivo.


Beatrice: Hai vissuto e lavorato in diverse città europee. Come hanno influenzato il tuo sguardo sull’artigianato e sulla bellezza del “fare”?


Carolina: Vivere e lavorare in diverse città europee ha arricchito moltissimo il mio sguardo sull’artigianato. Lo stile scandinavo è stato la mia base estetica: mi ha insegnato il valore della semplicità, dei materiali naturali e dei colori tenui che cedono il passo alla luce e alla forma. Ma sono pur sempre una donna mediterranea, quindi porto con me anche tutto un altro mondo: i colori vibranti degli azulejos andalusi e portoghesi, le curve delle anfore greche, l’intelligenza pratica degli oggetti in terracotta del Nord Africa.

Questa doppia anima, nordica e solare, è ciò che cerco di infondere nei miei lavori.

Beatrice: Cos’hai portato a casa da quei viaggi, da quelle esperienze e dalle persone che hai conosciuto, e che oggi rivive nei tuoi oggetti?


Carolina: Ogni viaggio mi ha lasciato qualcosa che oggi rivive nei miei oggetti. Adesso, da ceramista, viaggio con un occhio attentissimo: ogni forma, ogni superficie smaltata, ogni piatto al ristorante diventa fonte d’ispirazione. Ma la verità è che questo sguardo lo avevo già prima. Quando lavoravo in ristorazione, ad esempio, avevo quasi un’ossessione per la scelta del piatto: mi affascinava notare la presentazione delle pietanze, il dialogo tra cibo, forma e colore della ceramica. In Danimarca quest’attenzione è fortissima: lì la ceramica in tavola è parte integrante dell’esperienza, e questo mi ha lasciato un segno profondo.


In Inghilterra, invece, ho trovato una fonte d’ispirazione più terra terra –nel vero senso della parola. I giardinieri. Amo come s’ingegnano per far crescere piante ovunque, dentro contenitori creati da loro, imperfetti ma poetici. Mi hanno insegnato che un vaso non è solo un contenitore, ma un gesto d’amore verso ciò che cresce.


Ogni crescita nasce dalla pazienza di chi la sa coltivare.
Ogni crescita nasce dalla pazienza di chi la sa coltivare.

E poi c’è mia nonna, che ha viaggiato nel mondo della ceramica più di chiunque altro. Colleziona rane da 35 anni (finte, ovviamente). Una collezione sterminata, curata nei minimi dettagli, piena di pezzi in ceramica provenienti da ogni nazione. Andare a trovarla è come sfogliare un atlante della ceramica. Mi fa sorridere pensare che forse tutto è partito da lì.


Beatrice: L’arte della ceramica, con tutte le varie fasi di preparazione e cottura, richiede molta pazienza e tempi lunghi che vanno rispettati. Pensi che possa essere una forma di mindfulness, in un mondo che corre così veloce? 


Carolina: Sì, credo che la ceramica sia una delle forme più concrete di mindfulness. Non nel senso un po’ patinato del termine, ma proprio in quello più vero: essere presenti a quello che si fa, con le mani, con la testa e con il respiro. L’argilla ti costringe a rallentare. Ha tempi suoi che non puoi forzare. Se provi a trovare scorciatoie, come cuocere troppo in fretta o smaltare senza aver lasciato asciugare bene, lei si rompe, si crepa, si ribella. E questa cosa all’inizio ti fa impazzire. Poi però impari ad accettare le sue regole, e aspetti.


In un mondo dove tutto dev’essere immediato, modellare qualcosa con le mani, cuocerlo, rifinirlo, è quasi rivoluzionario. Ti riporta a un tempo più umano, più vero. E questo non vale solo per chi la fa come mestiere. Anche chi partecipa a un corso lo sente: c’è un momento in cui il rumore si spegne, e resti solo tu, con le tue mani e il pezzo che stai creando. 


Beatrice: Il tuo nome, “Spontanea”, racchiude una dichiarazione d’intenti. In che modo questa spontaneità guida le tue giornate e le tue creazioni?


Carolina: Sottoposti alla pressione di standard di perfezione altissimi e performance costanti, essere spontanei è sempre più difficile. La parola “Spontanea” è per me prima di tutto un manifesto, un promemoria: è l’obiettivo di ogni giorno. Nella vita privata mi rendo conto di quanto spesso ci si trattenga, ci si conformi, ma nel mio studio e nella pratica quotidiana della ceramica sento che la spontaneità esiste davvero. Lì dentro imparo a lasciarmi andare, a fidarmi, a creare senza autocensura. E la ceramica, con la sua materia viva e imprevedibile, è un’insegnante perfetta: ti obbliga a seguire il flusso e ad ascoltare le mani prima della testa.


Il nome “Spontanea” è anche un omaggio al mondo vegetale. Alle piante spontanee, appunto, che crescono dove nessuno guarda, in mezzo al cemento o ai bordi delle strade, e che con la loro presenza riescono a rendere più bello anche ciò che è artificiale. Mi piace pensare che i miei oggetti funzionino un po’ allo stesso modo, portando bellezza e naturalezza nei contesti di ogni giorno, silenziosamente. 


Beatrice: Ora Modena è tornata a essere il tuo punto fermo dopo anni di spostamenti. Come ti trovi? È un luogo che t’ispira?


Carolina: Mi ci trovo bene, soprattutto perché è una città a misura d’uomo: si gira facilmente, ci si incontra, ci si riconosce. E poi qui ho la mia famiglia, amici preziosi e una rete di affetti che fa la differenza. Mi sembra che la gente abbia un’energia bella, concreta, accogliente. Dal punto di vista dell’ispirazione, invece, devo ammettere che continuo a guardare un po’ più a nord; lo stile scandinavo resta il mio grande amore, e qui non è facilissimo trovarne traccia. A Modena si respira di più la tradizione, ma, se si ha voglia di cercare, qualcosa di diverso spunta sempre.


In questo periodo, ad esempio, sto trovando tantissima ispirazione nella natura locale: le fioriture lungo i canali, la cicoria selvatica, le achillee, le clematidi. Una bellezza un po’ sottovalutata ma piena di poesia. E poi c’è un aspetto che mi entusiasma: le persone. Attualmente sto avviando nuove collaborazioni con illustratrici della zona davvero bravissime, quindi ci sono grandi novità all’orizzonte!


Beatrice: Qual è il cuore della tua attività? Hai un laboratorio tutto tuo? Che strumentazione serve quotidianamente per il tuo lavoro?


Carolina: Al momento ho il mio studio a Modena, in casa: ho trasformato una stanza in laboratorio e, per quanto non sia enorme, l’ho organizzata in modo da riuscire a farci stare tutto (o quasi). La strumentazione è tanta e non proprio minimal: il forno e il tornio sono i pezzi più ingombranti, poi ovviamente c’è tutto un mondo di strumenti “invisibili” ma fondamentali. Lavorando a basso impatto idrico, tengo diversi contenitori in giardino per raccogliere l’acqua piovana, che poi riutilizzo per la pulizia oppure per annaffiare le piante. Sì, è un lavoro sporco. Ridurre gli sprechi e rendere il mio processo il più sostenibile possibile è fondamentale per me.


Un elemento indispensabile è il tavolo da lavoro, che pian piano si allargherà perché sto seguendo progetti sempre più ampi. E poi spazio, tanto spazio per stoccare argilla, materiali da imballaggio per le spedizioni, smalti, ossidi, pigmenti. Cerco di autoprodurre la maggior parte dei colori che uso, quindi ho sempre in giro barattoli e polveri che devono essere conservati con cura.


Una cosa che secondo me è importante far capire è che lavorare con la ceramica richiede davvero tante competenze, strumenti, tempo e, ebbene sì, anche un certo investimento. È un lavoro energivoro, sia in senso pratico che simbolico, e tutto questo si riflette nel valore (anche economico) di un oggetto fatto a mano. Ogni pezzo porta con sé un mondo intero!


Beatrice: Adesso dicci di più sulle attività che fai. Corsi, workshop, serate a tema. Raccontaci come sono organizzati e come hai iniziato.


Carolina: I corsi sono una delle parti del mio lavoro che amo di più! Ci metto tantissimo impegno e dedizione, perché credo davvero che la ceramica possa essere uno strumento potente per riconnettersi con sé stessi, con la materia e con i ritmi lenti. Per questo organizzo corsi di vario tipo, adatti a tutti i livelli: dai curiosi che provano per la prima volta, a chi ha già un po’ di esperienza e vuole approfondire.


Dopo la pausa estiva, ripartiranno i corsi base di ceramica a Modena: 4 incontri serali pensati per accompagnare passo passo chi inizia da zero. Per chi ha poco tempo (ma tanta voglia) ci sono anche i mini-corsi da 2 incontri, sufficienti per realizzare e portarsi a casa un oggetto completo fatto con le proprie mani.


Organizzo anche serate singole molto informali allo Spazio Lodola, sempre a Modena. Le prossime date sono 17 e 24 luglio! Lezioni tranquille dove si chiacchiera e ci si rilassa creando un pezzo in terracotta in totale libertà con amici o persone nuove, anche senza alcuna esperienza.


Beatrice: Ci sono stata e confermo: l’infarinatura iniziale e le compagne di corso che sembrano tutte dei prodigi possono spaventare, ma una volta iniziato a modellare passa tutto. E la mia tazza handmade ancora integra può testimoniarlo.


Carolina: Poi ci sono le collaborazioni che amo tanto. Ad esempio con la chef Merve Franciosi o con il Bistrot Punto e Pasta, dove coniughiamo ceramica e cibo per creare esperienze multisensoriali davvero speciali.

Per chi preferisce non sporcarsi troppo (succede!), propongo anche corsi di decorazione: si parte da un pezzo realizzato da me e si lavora di pennello, colore e fantasia. Che tu sia principiante o esperto, spiego sempre tutto da zero, così nessuno si sente escluso.


E poi ci sono le lezioni private di modellazione manuale o tornio, anche per coppie o piccoli gruppi. Sono le più adatte a chi cerca un’esperienza più lenta e su misura. E se abiti lontano? Nessun problema: faccio anche corsi online, in videochiamata, seguendo ogni passaggio in diretta.


Tutte le attività in programma si trovano sul mio profilo Instagram @spontanea.ceramic e sul mio sito spontaneaceramic.com, dove pubblico anche le date dei prossimi appuntamenti.


Il corso di Carolina
Il corso di Carolina

Beatrice: Qual è la risposta di pubblico che hai avuto finora? Mi sembra che il mondo dei corsi, specie quelli in presenza, sia più che fiorente. E lo capisco! È un modo per fare qualcosa di concreto, diverso, mescolarsi a persone sconosciute e magari tornare a casa con qualche amicizia in più e un’esperienza da raccontare. 


Carolina: Assolutamente sì, hai colto in pieno lo spirito!
La risposta del pubblico finora è stata molto calorosa. C’è tantissima voglia di fare, sperimentare con le mani e creare qualcosa di concreto, tangibile. I corsi in presenza stanno vivendo un momento d’oro, ed è bellissimo vedere persone di età e background diversi che s’incontrano attorno a un tavolo, si sporcano le mani insieme e, senza nemmeno accorgersene, si raccontano, si ascoltano, si connettono.


Spesso mi dicono che il corso è una vera boccata d’aria, una pausa rigenerante dalla quotidianità. Per me è il feedback più prezioso. E poi sì, succede spesso che si torni a casa non solo con un oggetto unico, ma anche con qualche nuova amicizia. Il vero miracolo della ceramica!


Beatrice: Ultima domanda. Se dovessi definire con tre parole la tua attività e la tua filosofia quali useresti?


Carolina: Bella questa domanda! Direi: spontaneità, cura, connessione. “Spontaneità” perché tutto nasce in modo naturale, senza forzature, seguendo l’intuizione e il ritmo del fare a mano.
“Cura” perché ogni pezzo, ogni corso e ogni gesto è fatto con attenzione, rispetto per i tempi della ceramica e per chi ho davanti.
 “Connessione” perché, attraverso l’argilla, si creano legami: con sé stessi, con gli altri, con la materia… ed è lì che succede la magia.




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